Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
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marocu
Getulio
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Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Per chi fosse interessato posto la locandina dello stage del maestro Orban che si terrà a Vezzano (SP) .
Getulio- Messaggi : 152
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Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Un pochino OT, ma sono curioso: scusate l'ignoranza, ma quando in aikido si parla di kenjutsu (come nello stage sopra menzionato) a cosa ci si riferisce?
Ci sono dei kata sviluppati apposta per la pratica dell'aikido?
Oppure si studia una scuola in particolare?
Oppure ogni maestro/allievo può dedicarsi alla Koryu che vuole?
O magari tutte queste tre cose assieme?
Se non sbaglio (e ovviamente potrei sbagliare) Ueshiba proveniva dalla tradizione Kashima.
Ci sono dei kata sviluppati apposta per la pratica dell'aikido?
Oppure si studia una scuola in particolare?
Oppure ogni maestro/allievo può dedicarsi alla Koryu che vuole?
O magari tutte queste tre cose assieme?
Se non sbaglio (e ovviamente potrei sbagliare) Ueshiba proveniva dalla tradizione Kashima.
Senbonzakura- Messaggi : 116
Data d'iscrizione : 12.08.12
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Tutte e tre le cose e più .
Ci sono scuole che hanno formalizzato una serie di kata e kumitachi oltre ad uno studio chiamato aikiken ...
Ci sono scuole che studiano una scuola particolare (o più d'una)...
Ci sono insegnanti che studiano ciò che vogliono ...
Ci sono scuole che NON studiano niente con le armi...
Ci sono scuole che hanno creato il loro aikiken...
Ma tutti in genere si propongono di migliorare (con l'uso delle armi) il loro aikido.
Si, anche io so di Ueshiba, ma comunque sicuramente è anche venuto a contatto con molte altre scuole.
Per quanto mi riguarda, pur avendo una formazione più che altro di Kashima, faccio parte di quelli che studiano ciò che vogliono ed integrano senza problemi il proprio bagaglio.
Ci sono scuole che hanno formalizzato una serie di kata e kumitachi oltre ad uno studio chiamato aikiken ...
Ci sono scuole che studiano una scuola particolare (o più d'una)...
Ci sono insegnanti che studiano ciò che vogliono ...
Ci sono scuole che NON studiano niente con le armi...
Ci sono scuole che hanno creato il loro aikiken...
Ma tutti in genere si propongono di migliorare (con l'uso delle armi) il loro aikido.
Si, anche io so di Ueshiba, ma comunque sicuramente è anche venuto a contatto con molte altre scuole.
Per quanto mi riguarda, pur avendo una formazione più che altro di Kashima, faccio parte di quelli che studiano ciò che vogliono ed integrano senza problemi il proprio bagaglio.
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Ci sono scuole che NON studiano niente con le armi...
Purtroppo quanto hai ragione..........
Purtroppo quanto hai ragione..........
Getulio- Messaggi : 152
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Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
L'aikikai hombu dojo NoN studia armi (che poi per me faccia bene è un altro discorso).
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Sull'aikiken ci sarebbe da parlarne un sacco,alla fine sembra proprio che per il90% siano pratiche in cui le armi sono attrezzi propedeutici alla pratica disarmata.
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
marocu ha scritto:L'aikikai hombu dojo NoN studia armi (che poi per me faccia bene è un altro discorso).
Bè i frutti di tale scelta sono abbastanza evidenti....... anche se molto acerbo lo sono stato anche io!
Quando mi si presentò l'occasione di poter studiare un pò di Tenshin Katori Shinto Ryu mi si aprì davanti non un mondo ma un universo.........
Getulio- Messaggi : 152
Data d'iscrizione : 01.07.12
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Getulio ti va di ampliare il tuo discorso?Getulio ha scritto:marocu ha scritto:L'aikikai hombu dojo NoN studia armi (che poi per me faccia bene è un altro discorso).
Bè i frutti di tale scelta sono abbastanza evidenti....... anche se molto acerbo lo sono stato anche io!
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
marocu ha scritto:Getulio ti va di ampliare il tuo discorso?Getulio ha scritto:marocu ha scritto:L'aikikai hombu dojo NoN studia armi (che poi per me faccia bene è un altro discorso).
Bè i frutti di tale scelta sono abbastanza evidenti....... anche se molto acerbo lo sono stato anche io!
Bè non è che ci sia poi molto da dire se non che dopo quasi 9 anni (fine anni '90)di cieca passione e di pratica ininterrotta, permanevano quei dubbi sulla reale applicazione delle tecniche ,visto che mi erano quasi sconosciuti principi quali distanza ,timing , centralità ed assialità del corpo che , anche se in fase "ancora" embrionale erano in qualche modo presenti nella mia pratica non avevano trovato la strada per maturare e crescere , in poche parole quella che per me era l'arte marziale per eccellenza si era tramutata in una sorta di rappresentazione puramente coreografica.Il salto ,in tutti i sensi ,di qualità l'ho avuto quando mi sono messo seriamente a studiare le armi. Ken ,Jo ,Tanto non ti regalano nulla , implacabilmente tirano fuori tutte le pecche e le magagne accumulatesi in anni di pratica fatte senza l'ausilio di questi ,per me ,fondamentali strumenti propedeutici.La veridicità di ikkio la si sperimenta con il Bokken o con il jo prima ancora che con il solo corpo o perlomeno credo che si possa impararla correttamente in metà tempo.
Getulio- Messaggi : 152
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Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Non pensi che un buon lavoro senza armi possa farti ottenere lo stesso quelle qualità?
Spesso quella sensazione di "coreografia" l'ho più spesso trovata nell'uso delle armi.
L'altro anno abbiamo tolto il programma di armi nel Progetto Aiki, non senza rimpianto. Ma purtroppo c'è la consapevolezza che pochi insegnanti dedicano tempo alla pratica armata e in ogni caso la stessa è sempre inferiore alla pratica disarmata.
Ed è normale, con i tempi che abbiamo non si può fare tutto.
E pensa che la proposta è venuta proprio da persone come me e Nino che invece ci si dedicano abbastanza. Vero anche che c'è in progetto un percorso parallelo e autonomo per certificare in qualche modo una progressione sulle armi. Ma non è facile produrre qualcosa di organico e razionale.
Spesso quella sensazione di "coreografia" l'ho più spesso trovata nell'uso delle armi.
L'altro anno abbiamo tolto il programma di armi nel Progetto Aiki, non senza rimpianto. Ma purtroppo c'è la consapevolezza che pochi insegnanti dedicano tempo alla pratica armata e in ogni caso la stessa è sempre inferiore alla pratica disarmata.
Ed è normale, con i tempi che abbiamo non si può fare tutto.
E pensa che la proposta è venuta proprio da persone come me e Nino che invece ci si dedicano abbastanza. Vero anche che c'è in progetto un percorso parallelo e autonomo per certificare in qualche modo una progressione sulle armi. Ma non è facile produrre qualcosa di organico e razionale.
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
marocu ha scritto:Non pensi che un buon lavoro senza armi possa farti ottenere lo stesso quelle qualità?
Spesso quella sensazione di "coreografia" l'ho più spesso trovata nell'uso delle armi.
L'altro anno abbiamo tolto il programma di armi nel Progetto Aiki, non senza rimpianto. Ma purtroppo c'è la consapevolezza che pochi insegnanti dedicano tempo alla pratica armata e in ogni caso la stessa è sempre inferiore alla pratica disarmata.
Ed è normale, con i tempi che abbiamo non si può fare tutto.
E pensa che la proposta è venuta proprio da persone come me e Nino che invece ci si dedicano abbastanza. Vero anche che c'è in progetto un percorso parallelo e autonomo per certificare in qualche modo una progressione sulle armi. Ma non è facile produrre qualcosa di organico e razionale.
Un "buon" lavoro , senza dubbio.Io ho riportato soltanto quella che è stata la mia modestissima esperienza e le senzazioni che da essa mi sono arrivate, concordo con te nel fatto che nell' uso delle armi la componente "coreografica" è presente ma è quasi essenziale per la sua istruzione, quello che la pratica continua e"corretta" sia dell'uso delle armi sia del corpo possono dare a chi le pratica sono quei principi che sopra citavo che forse qualcosa di organico e razionale possono produrre .
Getulio- Messaggi : 152
Data d'iscrizione : 01.07.12
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Lo sai che sono cacacazzi vero....
Ma non ce l'ho con te, ma con chi pensa che praticare un po' di ken possa farlo divenire superaikidoka. O con chi dice che si fa aikido solo se 33/33/33 e poi prende schiaffi dal judoka a mani nude, dal kendoka col ken e dal praticante di escrima col jo... Ma questo non succede perchè sempre lo stesso non si confronta, perchè altrimenti non è aikido ...
Però è contento... perchè ha vinto su se stesso ...
Ma non ce l'ho con te, ma con chi pensa che praticare un po' di ken possa farlo divenire superaikidoka. O con chi dice che si fa aikido solo se 33/33/33 e poi prende schiaffi dal judoka a mani nude, dal kendoka col ken e dal praticante di escrima col jo... Ma questo non succede perchè sempre lo stesso non si confronta, perchè altrimenti non è aikido ...
Però è contento... perchè ha vinto su se stesso ...
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
marocu ha scritto:Lo sai che sono cacacazzi vero....
Ma non ce l'ho con te, ma con chi pensa che praticare un po' di ken possa farlo divenire superaikidoka. O con chi dice che si fa aikido solo se 33/33/33 e poi prende schiaffi dal judoka a mani nude, dal kendoka col ken e dal praticante di escrima col jo... Ma questo non succede perchè sempre lo stesso non si confronta, perchè altrimenti non è aikido ...
Però è contento... perchè ha vinto su se stesso ...
Io adoro i cacacazzi!!!
Getulio- Messaggi : 152
Data d'iscrizione : 01.07.12
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
marocu ha scritto:O con chi dice che si fa aikido solo se 33/33/33
disclaimer: la battuta è sulla matematica, non se la prendano a male gli amici che sostengono quella suddivisione, si scherza
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Chi, io?
Seriamente, per me una didattica fondata sul 33/33/33 va benissimo, se il modo in cui viene passata raggiunge lo scopo che si è prefissato l'insegnante ma anche l'allievo e che non può essere lo stesso per tutti, solo perchè tutti diciamo di fare Aikido. Anche, e non solo, perchè nel tempo cambiano esigenze e livelli di consapevolezza. Non ce l'ho assolutamente con questo sistema quindi, sia ben chiaro.
Mi faceva ridere però come la somma di questi 33 non arrivasse, ovviamente, a 100 e quell'uno mancante, che avrà sicuramente significati più profondi di quello proposto nella vignetta, magari potrebbe essere uno schiaffone zen che risveglia dalla forma (il famoso Takemusu Aiki o il Ri dello ShuHaRi) come un molto più terra terra prendersi a pizze davvero che a volte sembra manchi un po' a tutti e che è, nel bene e nel male, una delle "pietre dello scandalo" quando si argomenta dell'Aikido, dei suoi scopi e delle sue metodologie.
E magari quell'1% potrebbe essere anche il senso dell'ironia necessario per capire che non c'è nessun intento denigratorio in questa gag
(certo che spiegare le battute è brutto...)
Seriamente, per me una didattica fondata sul 33/33/33 va benissimo, se il modo in cui viene passata raggiunge lo scopo che si è prefissato l'insegnante ma anche l'allievo e che non può essere lo stesso per tutti, solo perchè tutti diciamo di fare Aikido. Anche, e non solo, perchè nel tempo cambiano esigenze e livelli di consapevolezza. Non ce l'ho assolutamente con questo sistema quindi, sia ben chiaro.
Mi faceva ridere però come la somma di questi 33 non arrivasse, ovviamente, a 100 e quell'uno mancante, che avrà sicuramente significati più profondi di quello proposto nella vignetta, magari potrebbe essere uno schiaffone zen che risveglia dalla forma (il famoso Takemusu Aiki o il Ri dello ShuHaRi) come un molto più terra terra prendersi a pizze davvero che a volte sembra manchi un po' a tutti e che è, nel bene e nel male, una delle "pietre dello scandalo" quando si argomenta dell'Aikido, dei suoi scopi e delle sue metodologie.
E magari quell'1% potrebbe essere anche il senso dell'ironia necessario per capire che non c'è nessun intento denigratorio in questa gag
(certo che spiegare le battute è brutto...)
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Non è un problema di percentuali, ma di quanto e come alleni una cosa.
Fare una divisione così senza specificare il quanto ed il come è una castroneria .
Una divisione così su un allenamento di 4-5 ore settimanali è un'emerita stupidata in termini d'allenamento. Su un allenamento settimanale dalle 12 ore in su, può aver ragione d'esistere, ma secondo te quanti lo fanno? Noi (come dojo) ci alleniamo tra le 6 e le 9 ore settimanali e sinceramente riesco ad inserire solo un paio d'ore di armi. Ma d'avvero pensi che bastino? Il problema è sempre lo stesso... facciamo un'attività per apprendere/memorizzare un catalogo o facciamo un'attività per modificare/migliorare le nostre attitudini? Ma se la premessa è far nascere le reazioni spontaneamente (takemuso aikido), quello non è l'allenamento adatto. Tra l'altro, l'altra castroneria(per le teorie dell'allenamento) è il praticare kihon statico per un periodo lunghissimo. Qui si confonde il praticare una pratica basica, ma liberamente, col praticare una forma da fermi. Mi spiego meglio...
In tutte le discipline ci si deve allenare su poche tecniche all'inizio per favorire la reattività istintiva su basi certe per poi aggiungere varianti su varianti. Ma fin dall'inizio si deve mettere l'allievo in condizione di muoversi e cercare di applicare (quelle poche cose) a dispetto dell'altro che si muove e contrasta NON staticamente. Una cosa è lo studio iniziale dove apprendi la tecnica, ma subito deve seguire l'applicazione.
Detto tra noi il metodo shuhari non è un gran allenamento se non compreso bene. andava bene in altri tempi, ma oggi lo vedo obsoleto e sorpassato.
Fare una divisione così senza specificare il quanto ed il come è una castroneria .
Una divisione così su un allenamento di 4-5 ore settimanali è un'emerita stupidata in termini d'allenamento. Su un allenamento settimanale dalle 12 ore in su, può aver ragione d'esistere, ma secondo te quanti lo fanno? Noi (come dojo) ci alleniamo tra le 6 e le 9 ore settimanali e sinceramente riesco ad inserire solo un paio d'ore di armi. Ma d'avvero pensi che bastino? Il problema è sempre lo stesso... facciamo un'attività per apprendere/memorizzare un catalogo o facciamo un'attività per modificare/migliorare le nostre attitudini? Ma se la premessa è far nascere le reazioni spontaneamente (takemuso aikido), quello non è l'allenamento adatto. Tra l'altro, l'altra castroneria(per le teorie dell'allenamento) è il praticare kihon statico per un periodo lunghissimo. Qui si confonde il praticare una pratica basica, ma liberamente, col praticare una forma da fermi. Mi spiego meglio...
In tutte le discipline ci si deve allenare su poche tecniche all'inizio per favorire la reattività istintiva su basi certe per poi aggiungere varianti su varianti. Ma fin dall'inizio si deve mettere l'allievo in condizione di muoversi e cercare di applicare (quelle poche cose) a dispetto dell'altro che si muove e contrasta NON staticamente. Una cosa è lo studio iniziale dove apprendi la tecnica, ma subito deve seguire l'applicazione.
Detto tra noi il metodo shuhari non è un gran allenamento se non compreso bene. andava bene in altri tempi, ma oggi lo vedo obsoleto e sorpassato.
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
qui di seguito ho grassettato alcuni punti importanti che intendevo nel post precedente e che il buon Barioli ha sapientemente indicato...
"La didattica di Shu-ha-ri, ovvero le tappe dell'assimilazione attraverso il kata"
di C. Barioli
La didattica espressa nell'uso del kata è riassunta nell'espressione shu-ha-ri. Ne parlò per primo Kawakami Fuaku (1784 - 1855) fondatore della scuola Edo-senke del cha- no-yu; ma essa è implicita nell'insegnamento di Zeami Motokiyo (1363 - 1443) il creatore del teatro noh.
In Giappone la cerimonia del thé: chanoyu ('acqua calda per il thé'), sado, o chado, è un rituale influenzato dal buddismo zen nel quale il thé verde in polvere (matcha) viene preparato da un esperto e servito a pochi invitati in un'atmosfera calma. In questo evento si possono rintracciare le esperienze religiose e estetiche che hanno influenzato il kimono, la calligrafia, la disposizione dei fiori, la ceramica, l'incenso.
Colpisce del chanoyu che al termine delle guerre civili (1600) fosse appannaggio della classe guerriera, mentre oggi attira soprattutto il mondo femminile.
Dalle tradizioni del circo cinese e dalle danze religiose popolari nasce il dengaku, arte elegante e raffinata. Il mecenatismo dello shogun permette a Motokiyo Zeami (1363 - 1443) di farne risaltare la 'tranquilla eleganza' ed è l'atto di nascita del noh. Questo è uno stile tradizionale del teatro giapponese caratterizzato da una concezione religiosa e aristocratica della vita. Si vale di drammi lirici essenziali e simbolicizzati: la gestualità e i suoni sono stilizzati.
Attore, autore sovente paragonato a Sheakespeare, regista, fondatore di una scuola tuttora attiva di Zeami abbiamo in italiano Fushi-kaden: Trasmettere il fiore dell'Interpretazione, contenuto in Il Segreto del Teatro No - Adelphi 1966.
Oggi shu-ha-ri è applicato in scuole di pittura, danza, calligrafia, disposizione dei fiori, ceramica; e con qualche difficoltà nel budo. Accenno a difficoltà perché:
- il judo è nato da kata e randori, ma lo sport l'ha dimenticato,
- alcuni gruppi di iai si sforzano a parlarne,
- l'aikido lo applica con troppa eleganza per trarne efficacia,
- il karate ci gioca senza crederci,
- in genere questa metodica non gratifica l'insegnante.
Dalla tesi di Keiichi Takaya: On the connectiosn between imagition and education: philosophical and pedagogical perspectives (del rapporto tra educazione e immaginazione, prospettive pedagogiche e filosofiche):
In japanese traditional arts, it is commonly said that the ideal path of learning is a three-stage progression of shu, ha, ri, which means:
- 1) copy masters' kata or their ways of performing/doing,
- 2) breaking with masters' kata; but at this stage, learners have not totally achieved their own style in that they are trying to break free of their master's influente (they are psychologically not independent yet),
- and 3) the creation of their own kata
(cf. Minamoto, pp.30-31; also, Ikuta, pp. 45-47).
Nelle arti tradizionali nipponiche si considera comunemente che la progressione di studio segua le tappe shu-ha-ri, cioè:
- 1) studio passivo; si imita il kata del maestro e il suo modo di fare e di essere;
- 2) esperienza attiva; ci si allontana, si rompe con la forma del maestro, ma a questo punto l'allievo non ha un suo stile e lotta per liberarsi dall'influenza del maestro;
- 3) realizzazione; in seguito arriva a esprimere la disciplina conservando l'essenza della scuola, ma interpretandola secondo la propria esperienza, contribuendo al divenire dell'arte, che si costruisce con l'esperienza umana una generazione dopo l'altra.
Per dare una definizione di shu-ha-ri, proponiamo, in analogia con tesi, antitesi e sintesi, proprio questi punti: uno studio passivo, a cui segue un'esperienza attiva per arrivare alla realizzazione.
Il kata è una rappresentazione sintetica dell'arte, in cui sono espresse le esperienze profonde della scuola. La prima formulazione può apparire determinante; ma le successive interpretazioni, mantenendo l'apparenza, aggiungono esperienza, spingendo più a fondo l'analisi della realtà. In questo modo la scuola supera i limiti dell'individuo che l'ha creata e acquista valore nel tempo.
Nota per i judoisti: i kata canonici nascono dall'intuizione di una realtà profonda e vengono eseguiti con perdonabili inesattezze. Ma chi li ha praticati a lungo ne ha ricavato un'esperienza, che compare nella successiva trasmissione per cui, nella continuità della forma c'è maggior consapevolezza.
Nello zen la Trasmissione è qualcosa "che deve cambiare perché tutto resti come prima": c'è una continuità essenziale che riguarda lo spirito (il kata), e deve restare; e c'è un cambiamento superficiale che è dovuto al trascorrere del tempo (finché restiamo nello stresso luogo) o dello spazio (vedi l'occidentalizzazione dello zen giapponese).
Qualche parabola cinese ha stimmatizza il processo di apprendimento dicendo che per essere maestri bisogna uccidere il maestro. Alcuni accusano l'insegnamento di plagio da cui ci si libera per diventare se stessi.
Si racconta che la fase 'shu' è lunga, la successiva 'ha' è sofferta, e l'ultima, 'ri', è rinascita.
Nel nostro sistema scolastico, approssimativo e massificato, simili argomenti non trovano attenzione. Tuttavia alcune volte lo studente trova il 'maestro', figura che lo accompagnerà nella vita, fonte di imitazione e di energie; e magari arriverà a superarlo. Questi episodi, di cui si sente accenno, suggeriscono che l'avvenimento è naturale, anche se raro. Ma riconoscendone il meccanismo potremmo renderlo più frequente, a beneficio del risultato dello studio.
Nell'arte, nell'artigianato, nelle discipline tradizionali d'Oriente il processo di trasmissione è elitario. Il judo del signor Kano tenta di offrirlo ai più, ci suggerisce di dedicarci attenzione per sfruttarlo al Miglior Impiego dell'Energia.
"Shu" deriva dal verbo "mamoru": defend, protect; keep, observe, obey; abide by; stick to; be true to. Proteggere, conservare, osservare una regola.
E' la fase della comprensione tecnica; della presa di coscienza della tradizione. Il maestro mostra la forma, l'allievo osserva attentamente la gestualità, la riproduce adattandola al corpo. Proprio la massima fedeltà richiesta implica l'adattamento. Questa fase richiede "osservazione", "completa dedizione", "intelligenza".
L'osservazione non è quella suggerita dalla tradizione scientifica, ma "completa partecipazione".
In questa fase l'allievo non ha obiezioni, non pone domande.
Nell'opera "Kata to Nihon Bunka" (Il Kata nella Cultura Nipponica) il professor Minamoto Ryoen (1920 - ) storico e sociologo, dice: Shu è la tappa in cui si riproduce il kata per assimilare i fondamenti dell'insegnamento. E' uno studio passivo… Quando si esamina come il gekken ha preso dal cha-no-yu questa fase si citano le parole di Chiba Susaku: "Esiste shu-ha-ri. Shu significa 'proteggere' e vuole intendere 'conservare l'esperienza della scuola'. Per Itto-ryu è la posizione seigan-bassa, per Munen-ryu è la posizione seigan-comune. Questo significa che si attacca e si colpisce partendo dalla posizione fondamentale della scuola o del ramo della scuola a cui si appartiene".
Chiba Susaku (1794 - 1855) fondò Hokushin-itto-ryu di ken-jutsu; promosse lo shinai-shiai, cioè la competizione con spada di bambù; e confrontò donne armate di paginata (alabarda) a uomini con la spada.
Shu è la fase elementare, l'inizio dell'apprendimento, che si rivolge al corpo. Lo mettiamo in relazione con 'ushin' la condizione di chi ha l'attenzione su qualcosa. Ryoen dice: …non è l'atto semplice di osservare come richiedono le scienze naturali moderne. L'allievo percepisce la maestria nascosta e cerca di imitarla, adattando il gesto alla propria maniera d'essere (corpo e mente)… Per Zeami era la prima tappa in cui l'apprendimento avviene solo per imitazione
…come per i bambini…
questo è lo studio elementare, che nel No imita la mimica, e considera solo quello che viene avvertito dai sensi comuni.
Questa fase dell'apprendimento si avvale dell'esempio, del contatto come comunicazione corporea, dell'immagine mentale. E' la fase del plagio, e se viene considerata definitiva conduce a un'imitazione fedele che, riproducendosi di generazione in generazione, cristallizza la scuola. Anche solo ripetendosi di anno in anno mummifica l'esperto.
In judo si dice: se a 60 anni uno pratica la stessa forma che a 20, è uno zombie: un corpo senza spirito.
"Ha" da "yaburu": tear, rip, rend; break, crish, destroy; violate, transgress; defeat; baffle, frustrate. Distruzione, rottura, trasgressione.
Viene il momento in cui svaniscono le certezze e si rettifica la comprensione. Appresa la forma alla perfezione, quando è veramente penetrata oltre la superficie nella coscienza, il kata viene applicato alla vita. In questa fase la forma viene ignorata dalla coscienza e ricompare, creata dall'inconscio, nell'essenza del combattimento che il ki. Si sperimenta che la forma ha raggiunto lo spirito, il centro di coscienza, aggirando gli ostacoli che si incontrerebbero limitandosi ad ascoltare le lezioni convenzionali di un insegnante che parla da dietro la cattedra.
In questa fase l'allievo non ha a chi porre domande. La mente è nello stato di mu- shin, in cui nulla concede a desiderio o paura. E' in tempo presente, la condizione in cui il corpo crea l'azione.
Riprendiamo Minamoto Ryoen nell'opera citata: Come regolarsi nell'apprendimento? Il kata che mi viene trasmesso è stato a sua volta ricevuto dal maestro, che ha la sua personalità, e che dall'insegnamento ricevuto ha tratto la sua esperienza; è naturale che contenga cose che non mi sono congeniali. Tuttavia se mi soffermo troppo nell'assimilazione fisica del kata del maestro, senza cimentarmi nell'applicarne alcune parti in circostanze reali, limiterò la mia creatività. Questo concretizza la necessità di 'deformare' la forma e caratterizza il periodo 'ha'. Chiba Susaku nella Via della spada: 'Ha' significa distruggere, abbandonare l'obiettivo e la visione precedente; nella 'mente vuota' non c'è posto per il maestro. E' il maestro che propone all'allievo il distacco: lo manda in gara, gli propone il duello, lo abbandona al pubblico, lo espone alla critica. Gradualmente l'allievo è lasciato solo e ha il kata a cui aggrapparsi, eppure non è il kata formale, ma l'esperienza dei maestri del passato in una nuova circostanza che si realizza attraverso la sua personalità e il suo corpo.
Tutto è nuovo, il kata acquista dimensione reale; il maestro è un'ombra che scompare. Ucciderlo significa percepire la sua presenza lasciarci e non voltarsi a guardarlo.
E' un momento difficile, in cui l'allievo può illudersi che i successi siano la maestria. Quante volte il judo ha perso i suoi campioni in questa circostanza!
Ecco la fase conclusiva: "ri", da hanaru. Separazione, allontanamento, trascendenza: separate, part from, come off, become disjoined; digress; get free; become estranged; be 3 miles away…
E' un anelito di libertà, per il maestro e per l'allievo. E' il parto; i corpi diventano due, separatamente affrontano la realtà. Il kata torna a dominare quello che era un allievo e ora è un esperto che può diventare maestro.
In questa fase finale la domanda è lecita e la risposta sorge dall'interiore.
Ma non è più la ripetizione del kata che l'allievo osservava con tanta intensità nell'espressione del maestro. E' un kata vissuto almeno in alcuni particolari, che talvolta può esteriormente essere identico, ma interiormente è diverso: prima arrivava faticosamente all'allievo, ora da lui emana con naturalezza.
Nello zen si dice: All'inizio la montagna è montagna e il fiume è fiume; poi le montagne non sono più tali e il fiume non è più fiume; ma alla fine le montagne sono ancora montagne e il fiume fiume.
Negli Scritti Postumi di Chiba Susaku: Come classificare i Maestri: "Ri" significa staccarsi, allontanarsi, rinnegando anche "shu" e "ha", senza possibilità di tornare al passato, senza nulla da mirare più in alto.
Non si fa fatica a ritrovare queste tappe nel mondo occidentale. Lo studente studia con attenzione il passato; in fisica ripercorre teoricamente e in laboratorio le esperienze, come un kata. Può accontentarsi di questa realizzazione e limitarsi nella vita a ripetere formule e leggi.
Oppure può cercare di andare oltre, impiegandosi nell'industria dove affronterà problemi di produzione e di organizzazione, dedicandosi alla ricerca per arrivare a nuove interpretazioni della realtà.
E quando avrà fatto esperienza, forse apporterà qualcosa di nuovo alle vecchie formule, oppure le esporrà in una migliore sintesi.
Certamente il kata non costituisce argomento di gara (come in fisica o in religione non si fanno concorsi di formule o di preghiera) e i giovani devono capire a cosa serve e sperimentare come funziona. La gara di kata richiede di adottare un modello unificato, che ignora il rapporto maestro/allievo e l'esperienza.
Quando il modello è stabile, l'esperienza diventa inutile.
Sarebbe il ritorno all'ipse dixit aristotelico e alla creazione di Tolomeo.
Lasciamo concludere a Minamoto Ryoen: La pedagogia del modello (kata) che si completa nell'esercizio libero (randori) richiede un equilibrio. Nel gekken di Jikishin-kage e Itto-ryu questo sistema di allenamento è gestito abilmente, e Chiba Susaku ne è il profeta. In epoca moderna è Kano Jigoro che l'ha vitalizzato nel judo…
"La didattica di Shu-ha-ri, ovvero le tappe dell'assimilazione attraverso il kata"
di C. Barioli
La didattica espressa nell'uso del kata è riassunta nell'espressione shu-ha-ri. Ne parlò per primo Kawakami Fuaku (1784 - 1855) fondatore della scuola Edo-senke del cha- no-yu; ma essa è implicita nell'insegnamento di Zeami Motokiyo (1363 - 1443) il creatore del teatro noh.
In Giappone la cerimonia del thé: chanoyu ('acqua calda per il thé'), sado, o chado, è un rituale influenzato dal buddismo zen nel quale il thé verde in polvere (matcha) viene preparato da un esperto e servito a pochi invitati in un'atmosfera calma. In questo evento si possono rintracciare le esperienze religiose e estetiche che hanno influenzato il kimono, la calligrafia, la disposizione dei fiori, la ceramica, l'incenso.
Colpisce del chanoyu che al termine delle guerre civili (1600) fosse appannaggio della classe guerriera, mentre oggi attira soprattutto il mondo femminile.
Dalle tradizioni del circo cinese e dalle danze religiose popolari nasce il dengaku, arte elegante e raffinata. Il mecenatismo dello shogun permette a Motokiyo Zeami (1363 - 1443) di farne risaltare la 'tranquilla eleganza' ed è l'atto di nascita del noh. Questo è uno stile tradizionale del teatro giapponese caratterizzato da una concezione religiosa e aristocratica della vita. Si vale di drammi lirici essenziali e simbolicizzati: la gestualità e i suoni sono stilizzati.
Attore, autore sovente paragonato a Sheakespeare, regista, fondatore di una scuola tuttora attiva di Zeami abbiamo in italiano Fushi-kaden: Trasmettere il fiore dell'Interpretazione, contenuto in Il Segreto del Teatro No - Adelphi 1966.
Oggi shu-ha-ri è applicato in scuole di pittura, danza, calligrafia, disposizione dei fiori, ceramica; e con qualche difficoltà nel budo. Accenno a difficoltà perché:
- il judo è nato da kata e randori, ma lo sport l'ha dimenticato,
- alcuni gruppi di iai si sforzano a parlarne,
- l'aikido lo applica con troppa eleganza per trarne efficacia,
- il karate ci gioca senza crederci,
- in genere questa metodica non gratifica l'insegnante.
Dalla tesi di Keiichi Takaya: On the connectiosn between imagition and education: philosophical and pedagogical perspectives (del rapporto tra educazione e immaginazione, prospettive pedagogiche e filosofiche):
In japanese traditional arts, it is commonly said that the ideal path of learning is a three-stage progression of shu, ha, ri, which means:
- 1) copy masters' kata or their ways of performing/doing,
- 2) breaking with masters' kata; but at this stage, learners have not totally achieved their own style in that they are trying to break free of their master's influente (they are psychologically not independent yet),
- and 3) the creation of their own kata
(cf. Minamoto, pp.30-31; also, Ikuta, pp. 45-47).
Nelle arti tradizionali nipponiche si considera comunemente che la progressione di studio segua le tappe shu-ha-ri, cioè:
- 1) studio passivo; si imita il kata del maestro e il suo modo di fare e di essere;
- 2) esperienza attiva; ci si allontana, si rompe con la forma del maestro, ma a questo punto l'allievo non ha un suo stile e lotta per liberarsi dall'influenza del maestro;
- 3) realizzazione; in seguito arriva a esprimere la disciplina conservando l'essenza della scuola, ma interpretandola secondo la propria esperienza, contribuendo al divenire dell'arte, che si costruisce con l'esperienza umana una generazione dopo l'altra.
Per dare una definizione di shu-ha-ri, proponiamo, in analogia con tesi, antitesi e sintesi, proprio questi punti: uno studio passivo, a cui segue un'esperienza attiva per arrivare alla realizzazione.
Il kata è una rappresentazione sintetica dell'arte, in cui sono espresse le esperienze profonde della scuola. La prima formulazione può apparire determinante; ma le successive interpretazioni, mantenendo l'apparenza, aggiungono esperienza, spingendo più a fondo l'analisi della realtà. In questo modo la scuola supera i limiti dell'individuo che l'ha creata e acquista valore nel tempo.
Nota per i judoisti: i kata canonici nascono dall'intuizione di una realtà profonda e vengono eseguiti con perdonabili inesattezze. Ma chi li ha praticati a lungo ne ha ricavato un'esperienza, che compare nella successiva trasmissione per cui, nella continuità della forma c'è maggior consapevolezza.
Nello zen la Trasmissione è qualcosa "che deve cambiare perché tutto resti come prima": c'è una continuità essenziale che riguarda lo spirito (il kata), e deve restare; e c'è un cambiamento superficiale che è dovuto al trascorrere del tempo (finché restiamo nello stresso luogo) o dello spazio (vedi l'occidentalizzazione dello zen giapponese).
Qualche parabola cinese ha stimmatizza il processo di apprendimento dicendo che per essere maestri bisogna uccidere il maestro. Alcuni accusano l'insegnamento di plagio da cui ci si libera per diventare se stessi.
Si racconta che la fase 'shu' è lunga, la successiva 'ha' è sofferta, e l'ultima, 'ri', è rinascita.
Nel nostro sistema scolastico, approssimativo e massificato, simili argomenti non trovano attenzione. Tuttavia alcune volte lo studente trova il 'maestro', figura che lo accompagnerà nella vita, fonte di imitazione e di energie; e magari arriverà a superarlo. Questi episodi, di cui si sente accenno, suggeriscono che l'avvenimento è naturale, anche se raro. Ma riconoscendone il meccanismo potremmo renderlo più frequente, a beneficio del risultato dello studio.
Nell'arte, nell'artigianato, nelle discipline tradizionali d'Oriente il processo di trasmissione è elitario. Il judo del signor Kano tenta di offrirlo ai più, ci suggerisce di dedicarci attenzione per sfruttarlo al Miglior Impiego dell'Energia.
"Shu" deriva dal verbo "mamoru": defend, protect; keep, observe, obey; abide by; stick to; be true to. Proteggere, conservare, osservare una regola.
E' la fase della comprensione tecnica; della presa di coscienza della tradizione. Il maestro mostra la forma, l'allievo osserva attentamente la gestualità, la riproduce adattandola al corpo. Proprio la massima fedeltà richiesta implica l'adattamento. Questa fase richiede "osservazione", "completa dedizione", "intelligenza".
L'osservazione non è quella suggerita dalla tradizione scientifica, ma "completa partecipazione".
In questa fase l'allievo non ha obiezioni, non pone domande.
Nell'opera "Kata to Nihon Bunka" (Il Kata nella Cultura Nipponica) il professor Minamoto Ryoen (1920 - ) storico e sociologo, dice: Shu è la tappa in cui si riproduce il kata per assimilare i fondamenti dell'insegnamento. E' uno studio passivo… Quando si esamina come il gekken ha preso dal cha-no-yu questa fase si citano le parole di Chiba Susaku: "Esiste shu-ha-ri. Shu significa 'proteggere' e vuole intendere 'conservare l'esperienza della scuola'. Per Itto-ryu è la posizione seigan-bassa, per Munen-ryu è la posizione seigan-comune. Questo significa che si attacca e si colpisce partendo dalla posizione fondamentale della scuola o del ramo della scuola a cui si appartiene".
Chiba Susaku (1794 - 1855) fondò Hokushin-itto-ryu di ken-jutsu; promosse lo shinai-shiai, cioè la competizione con spada di bambù; e confrontò donne armate di paginata (alabarda) a uomini con la spada.
Shu è la fase elementare, l'inizio dell'apprendimento, che si rivolge al corpo. Lo mettiamo in relazione con 'ushin' la condizione di chi ha l'attenzione su qualcosa. Ryoen dice: …non è l'atto semplice di osservare come richiedono le scienze naturali moderne. L'allievo percepisce la maestria nascosta e cerca di imitarla, adattando il gesto alla propria maniera d'essere (corpo e mente)… Per Zeami era la prima tappa in cui l'apprendimento avviene solo per imitazione
…come per i bambini…
questo è lo studio elementare, che nel No imita la mimica, e considera solo quello che viene avvertito dai sensi comuni.
Questa fase dell'apprendimento si avvale dell'esempio, del contatto come comunicazione corporea, dell'immagine mentale. E' la fase del plagio, e se viene considerata definitiva conduce a un'imitazione fedele che, riproducendosi di generazione in generazione, cristallizza la scuola. Anche solo ripetendosi di anno in anno mummifica l'esperto.
In judo si dice: se a 60 anni uno pratica la stessa forma che a 20, è uno zombie: un corpo senza spirito.
"Ha" da "yaburu": tear, rip, rend; break, crish, destroy; violate, transgress; defeat; baffle, frustrate. Distruzione, rottura, trasgressione.
Viene il momento in cui svaniscono le certezze e si rettifica la comprensione. Appresa la forma alla perfezione, quando è veramente penetrata oltre la superficie nella coscienza, il kata viene applicato alla vita. In questa fase la forma viene ignorata dalla coscienza e ricompare, creata dall'inconscio, nell'essenza del combattimento che il ki. Si sperimenta che la forma ha raggiunto lo spirito, il centro di coscienza, aggirando gli ostacoli che si incontrerebbero limitandosi ad ascoltare le lezioni convenzionali di un insegnante che parla da dietro la cattedra.
In questa fase l'allievo non ha a chi porre domande. La mente è nello stato di mu- shin, in cui nulla concede a desiderio o paura. E' in tempo presente, la condizione in cui il corpo crea l'azione.
Riprendiamo Minamoto Ryoen nell'opera citata: Come regolarsi nell'apprendimento? Il kata che mi viene trasmesso è stato a sua volta ricevuto dal maestro, che ha la sua personalità, e che dall'insegnamento ricevuto ha tratto la sua esperienza; è naturale che contenga cose che non mi sono congeniali. Tuttavia se mi soffermo troppo nell'assimilazione fisica del kata del maestro, senza cimentarmi nell'applicarne alcune parti in circostanze reali, limiterò la mia creatività. Questo concretizza la necessità di 'deformare' la forma e caratterizza il periodo 'ha'. Chiba Susaku nella Via della spada: 'Ha' significa distruggere, abbandonare l'obiettivo e la visione precedente; nella 'mente vuota' non c'è posto per il maestro. E' il maestro che propone all'allievo il distacco: lo manda in gara, gli propone il duello, lo abbandona al pubblico, lo espone alla critica. Gradualmente l'allievo è lasciato solo e ha il kata a cui aggrapparsi, eppure non è il kata formale, ma l'esperienza dei maestri del passato in una nuova circostanza che si realizza attraverso la sua personalità e il suo corpo.
Tutto è nuovo, il kata acquista dimensione reale; il maestro è un'ombra che scompare. Ucciderlo significa percepire la sua presenza lasciarci e non voltarsi a guardarlo.
E' un momento difficile, in cui l'allievo può illudersi che i successi siano la maestria. Quante volte il judo ha perso i suoi campioni in questa circostanza!
Ecco la fase conclusiva: "ri", da hanaru. Separazione, allontanamento, trascendenza: separate, part from, come off, become disjoined; digress; get free; become estranged; be 3 miles away…
E' un anelito di libertà, per il maestro e per l'allievo. E' il parto; i corpi diventano due, separatamente affrontano la realtà. Il kata torna a dominare quello che era un allievo e ora è un esperto che può diventare maestro.
In questa fase finale la domanda è lecita e la risposta sorge dall'interiore.
Ma non è più la ripetizione del kata che l'allievo osservava con tanta intensità nell'espressione del maestro. E' un kata vissuto almeno in alcuni particolari, che talvolta può esteriormente essere identico, ma interiormente è diverso: prima arrivava faticosamente all'allievo, ora da lui emana con naturalezza.
Nello zen si dice: All'inizio la montagna è montagna e il fiume è fiume; poi le montagne non sono più tali e il fiume non è più fiume; ma alla fine le montagne sono ancora montagne e il fiume fiume.
Negli Scritti Postumi di Chiba Susaku: Come classificare i Maestri: "Ri" significa staccarsi, allontanarsi, rinnegando anche "shu" e "ha", senza possibilità di tornare al passato, senza nulla da mirare più in alto.
Non si fa fatica a ritrovare queste tappe nel mondo occidentale. Lo studente studia con attenzione il passato; in fisica ripercorre teoricamente e in laboratorio le esperienze, come un kata. Può accontentarsi di questa realizzazione e limitarsi nella vita a ripetere formule e leggi.
Oppure può cercare di andare oltre, impiegandosi nell'industria dove affronterà problemi di produzione e di organizzazione, dedicandosi alla ricerca per arrivare a nuove interpretazioni della realtà.
E quando avrà fatto esperienza, forse apporterà qualcosa di nuovo alle vecchie formule, oppure le esporrà in una migliore sintesi.
Certamente il kata non costituisce argomento di gara (come in fisica o in religione non si fanno concorsi di formule o di preghiera) e i giovani devono capire a cosa serve e sperimentare come funziona. La gara di kata richiede di adottare un modello unificato, che ignora il rapporto maestro/allievo e l'esperienza.
Quando il modello è stabile, l'esperienza diventa inutile.
Sarebbe il ritorno all'ipse dixit aristotelico e alla creazione di Tolomeo.
Lasciamo concludere a Minamoto Ryoen: La pedagogia del modello (kata) che si completa nell'esercizio libero (randori) richiede un equilibrio. Nel gekken di Jikishin-kage e Itto-ryu questo sistema di allenamento è gestito abilmente, e Chiba Susaku ne è il profeta. In epoca moderna è Kano Jigoro che l'ha vitalizzato nel judo…
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
A ...e qui si parla di kata. Se calassimo lo shuhari sulla disciplina sarebbe ancora diverso e più complicato.
Ricordo che lo shuhari è un metodo per il chado o per il teatro NO. Poi come sempre il giapponese cerca di ammantare spiritualmente quello che fa e quindi ha applicato questo metodo anche al budo.
Ricordo che lo shuhari è un metodo per il chado o per il teatro NO. Poi come sempre il giapponese cerca di ammantare spiritualmente quello che fa e quindi ha applicato questo metodo anche al budo.
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Dipende, non è che il primo che teorizza qualcosa la fa per forza nascere da quel momento in poi, magari la sua teoria è soltanto una sistematizzazione filosofica e intelligibile da altri individui derivata dall'osservazione di qualcosa di già presente in natura. Relegare Shuhari a un tot di arti è tipo credere che si possa praticare esclusivamente il 33/33/33, secondo me.
Da bambini fino all'età adulta e poi alla vecchiaia non ripercorriamo le stesse tappe teorizzate nello Shuhari, anche se viviamo dall'altra parte del mondo rispetto al Giappone?
Da bambini fino all'età adulta e poi alla vecchiaia non ripercorriamo le stesse tappe teorizzate nello Shuhari, anche se viviamo dall'altra parte del mondo rispetto al Giappone?
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
E' una scuola di pensiero che suddivide la didattica dell'Aikido in 33% di Taijutsu, 33% di lavoro con il Bokken e 33% di lavoro con il Jo per essere considerata completa. Solitamente si sostiene nelle scuole che seguono la didattica proposta da Saito Sensei, in seguito identificata come Iwama Ryu.
Re: Stage di Kenjutsu con Philippe Orban
Ma infatti, quello che volevo dire, è che spesso si segue una teoria senza comprenderne bene la sua applicazione, seguendo a grandi linee teorie generiche e fondamentalmente adattabili a tutto , mettendo così una coperta sulle carenze proprie di quello che si fa.
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